apr
27
2018

25 aprile… #liberazione

E’ uscita per la prima volta e lo ha fatto il 25 aprile. La nuova bandiera sventolavava per le vie e sul lungomare di Varazze ad onorare ogni sosta porgrammanta. Bene.

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Lasciata Varazze è ritornata a casa ed e’ rimasta esposta tutta il giorno, con le sue mani che si aiutano dal 1921 stringendosi.

Ed ora una storia vissuta in quel terribile periodo.

25 APRILE 2018 – FESTA DELLA LIBERAZIONE – I RICORDI SONO PREZIOZI…
Prealpi lombarde.
Orezzo – La Plaza – Gazzaniga
Estate del 1944
A poche di ore di cammino da un paesino (Orezzo), allungato a mezza costa nelle Prealpi lombarde, ci si addentra nelle vallate di quelle montagne. Sono ampie vallate tra i piccoli paesi e tra le vette dei rilievi prealpini. Sono vallate che sembrano create apposta per essere utilizzate per l’allevamento del bestiame; in estate alpeggi e fieno e in inverno neve. Valli insinuate tra un rilievo e l’altro e difficilmente raggiugibili se non con sentieri e mulattiere. L’economia di qui luoghi era infatti basata solo sull’allevamento di bovini e sulla produzione familiare di formaggio e burro.
Il piatto principe era la polenta: al mattino, a pranzo, a sera e quando occorreva. Alla domenica e nelle feste comandate. Polenta.
Siamo in piena guerra mondiale… La seconda.
Anche quella zona venne presidiata a lungo dalle truppe tedesche ed anche in quelle vallate l’occupazione e il regime hanno portato fame e fame… Paura, fame e disagi. E la libertà era divenuta un sogno.
Ma i montanari, specie i ragazzi, non si arrendono. Hanno passo lento, regolare ma arrivano in cima, sempre. Cercavano sostentamento anche sfruttando quei luoghi in maniera inconsueta. Quei boschi fitti gli consentivano infatti di cattuarare selvaggina e uccelli e lo facevano anche per la loro spesso innata esperienza di vita dura: montanari coraggiosi ma rispettosi della MONTAGNA.
Erano abili nel catturare selvaggina e uccellagione dicevamo. La fame è fame e bisognava ingegnarsi.
Angelino, figlio di Batista e di Giuseppina, si recava spesso, così come altri ragazzi, a controllare i mille e più lacci e trappole, ingegnose ed efficaci, che ogni giorno andavano però presidiate per catturare le prede cadute in disgrazia.
Uccelli in bisaccia e si riarma il tutto per poi fare ritorno a casa. Operazione quotidiana, certo, ma mille trappolle e laccetti sono tanti e occorreva dedicargli un sacco di tempo.
Come al solito quindi Angelino, anche quella mattina d’agosto (1944), affronta un paio d’ore di cammino lungo quella stradina per raggiungere le sue trappole. Aveva 13 anni appena.
Era il solito giro, la solita ispezione: la raccolta delle noci, il controllo delle trappole e catturare la selvaggina intrappolata.
In quel posto l’unico rumore che sente quella gente è il silenzio e figuriamoci se quel ragazzotto non era abituato al “silenzio”. Il silenzio, per chi doveva muoversi in quei boschi e cacciare, era la regola numero uno. Se fai rumore… a casa non porti nulla.
Quel giorno qualche cosa non andava per il verso giusto.
Angelino lo sentiva. Quel silenzio era rotto da rumori e percezioni inusuali e inconsuete. Stava all’erta.
Passarono pochi minuti e quel ragazzo, purtroppo, aveva sentito e visto giusto; si ritrovò circondato nel bel mezzo di militari tedeschi che non esitarono ad urlare nel loro idioma sconosciuto ed a intimargli di fermarsi sul posto con il mitra puntato. Prima puntato e poi con appoggiato; la canna dell’arma era stata appoggiata sulla sua schiena. I militari Iniziarono una perlustrazione in zona e, in particolare, nella casetta che quel ragazzo e i sui familiari, usavano per stalla ed alpeggio e stivo: la chiamavano “la Plaza”.
Restò così, con le canne dei fucili addosso, sulla schiena, per oltre mezz’ora; immobile.
Non riusciva nemmeno ad immaginare cosa potesse accadergli da lì a poco.
Gli tremavano le gambe. Era un ragazzo solo in mezzo a quei militari sconosciuti che urlavano di continuo.
Sapeva che erano e chi erano i tedeschi e sapeva che avevano occupato la loro terra di montanari e immaginava il perché di tutto ciò. In quei paesi e in fondo valle, se ne palava. Quelle valli erano rifugio per i ragazzi più grandi ed i giovanotti che clandestinamente stavano combattendo una guerriglia coperta da segreti e da precise regole.
Sapeva che avevano un nome di battaglia e che avevano degli informatori segretissimi e che spesso erano donne e ragazzi.
Proprio ragazzi che come lui perchè parevano meno sospettabili e quindi, per loro, era sicuramente più agevole “portare” informazioni nel cuore di quelle vallate ai partigiani. La canna nella schiena lo devastava.
Ormai sentiva forte il battito del suo cuore ed il fluire ritmico del sangue nelle vene che gli facevano pulsare il collo. La saliva era finta da tempo.
Lui doveva solo aspettare ma cosa, non era dato saperlo.
Erano molti quei soldati inferociti e armati sino ai denti. Erano ovuque.
Angelino seppe solo il giorno dopo che tutto ciò era da ricondurre ad un’eclatante gesto compiuto dai partigiani di quelle zone. Il 16 agosto 1944 un gruppo di giovanotti e guerriglieri fermò infatti due treni a Gazzaniga.
Proprio nel suo comune. Lui abitava ad Orezzo, un piccolo paesino che sovrasta imponente quei luoghi lungo la strada che da Gazzaniga arriva nell’abitato del paese e prosegue sino ad Aviatico e Selvino.
I partigiani fermarono quindi i due treni facendo anche alcuni prigionieri ma il giorno successivo la rappresaglia nazifascista si scatenò sulla Val Vertova (valle vicinissima a quella zona) e interesso poi tutte le quelle vallate che erano state rifugio e via di fuga. I partigiani infatti proprio nelle vicne valli si erano recati con i giovani protagonisti del raid alla ferrovia. Nulla poterono però contro la pioggia di bombe rovesciata su di loro con i mortai e cinque caddero nei pressi di un torrente ed altri due vennero uccisi al Roccolone di Cavlera il 22 agosto 1944.
Ma torniamo ad Angelino. Lo avevamo lasciato fermo con il fucile puntato.
Il disordinato girovagare dei militari tedeschi si concentrò sempre di più attorno al casolare e quindi attorno a lui bloccato l’ vicino. Un militare si avvicino e farfugliò, con tono fermo e parole di ghiaccio, ordini precisi.
Venne intimato ad Angelino di andarse via. Lo capì a fatica ma lo capì.
Piano piano… ma doveva andare via. Questo gli venne intimato.
Quasi si trattasse di un riflesso incondizionato Angelo iniziò a muovere una gamba e poi l’altra, i piedi e le mani e poi si girò dando le spalle a quel soldato che mantenne la canne del fucile dapprima appoggiata alla schiena e poi, piano piano, perse il contatto quando mosse i primi passi…
Passo dopo passo Angelino camminava e si aspettava solo di essere ucciso.
Lui sapeva cos’era un fucile da caccia e tremolante non riusciva, in qui poco attimi, a darsi ragione. Non sapeva cosa sarebbe accaduto quando il soldato avrebbe premuto il grilletto ed era terrorizzato
Partirà il colpo…? sentirò lo sparo? … o non ne avrò nemmeno il tempo?.
Erano secondi su secondi che parevano ore… e lui proseguiva guardando il sentiero e l’erba adagiata a bordi. Quella era l’unica cosa certa; il sentiero.
Ormai aveva percorso più di cento metri e più e il passo continuava lento ma regolare sino a quando non seppe farne a meno di voltarsi un a attimo e non scorgendo più la sagoma grigia con quell’elmetto imponete, si mise a correre. Ormai stava scappando a gambe levate ed era lontano dal casolare ed ecco che trova, a poca distanza, un suo caro amico. Stava Raccogliendo le noci da una pianta. Lì c’era pieni di noci.
Spaventato e confuso trova però la lucidità per avvertirlo e per dirgli di scappare. Scappare subito perché i tedeschi erano ovunque. L’altro ragazzo scese dall’albero con un balzo e si intrufolò in mezzo al bosco senza seguire nessun sentiero e sparì in men che non si dica.
Questa breve vicenda, vissuta oltre settant’anni fa, Angelo l’ha raccontata in questi giorni parlando della festa della liberazione e di quel periodo terribile.
In “società” ci si vede spesso e il 25 aprile gli anziani colgono l’occasione per raccontare uno dei tanti ricordi che gli ritornano vivi in mente e che hanno marchiato e segnato la loro mente.
Partono sempre con prudenza: Sanno che ravviveranno ferite mai rimarginate del tutto e gli fa male ma lo fanno e mentre il racconto prosegue, lo rivivono e lo rivivono come se fosse accaduto ieri.
Ad Angelo, durante il racconto, gli è tornata la secchezza delle fauci e quel terrore negli occhi. Ha sentito di nuovo ed ancora la canna di un fucile puntata ed appoggiata sulla sua schiena; gli sembrava di riviverlo ed è come se fosse stato un minuto prima; altro che settant’anni!. Risentiva quel tedesco intimarli di andare via….via.
Oggi Angelo ha 87 anni e da una vita abita a Castagnabuona. E’ nostro socio assieme alla consorte Giuliana e quasi tutte le domeniche ci fa passare pomeriggi di rara intensità emotiva pregni di reciproca empatia e lo fanno raccontandoci storie di vita, della loro vita; vita vissuta, stenti, fatiche, guerra, lavoro onestà e serietà.
Hanno trascorso e condiviso assieme quasi 50 anni di nozze. Ciquant’anni pieni. Mezzo secolo di vita raccontato a spot attorno ad un tavolo alla domenica pomeriggio nella”società” Nessuno di noi guarda il cellulare, nessuno messaggia, nessuna clicca. Tutti lì a chiacchierare come si faceva una volta in “veggia”. Quello che ci raccontano, specie su quel ventennio e sulla guerra, nessuno, dopo di loro, potrà farlo rivivendo quei momenti e facendoti tremare le gambe anche te… Non perdiamo queste occasioni perché sono preziose e irripetibili.

 

orezzo

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