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2
2017

Il disegno delle città. Pianificazione o “Urbanistura ” ?

 

“Urbanistura”. La fase peggiore e suprema dell’abuso del nulla nel disegno delle città

Una città è, o diventa, a misura d’uomo solo se chi ha il compito di ridisegnarla sa ascoltare.

Le nostra fragili città costiere, ferite fin dall’inizio del novecento e violentate dagli anni cinquanta in poi, per fortuna, hanno conservato, tanto erano belle per volontà e dono di madre natura, la loro peculiare bellezza se pur con qualche ferita sanguinate e con qualche  ruga di troppo. Chi le ha violentate è restato impunito, ovviamente.

Oggi si parla sempre meno del piano regolatore e della necessità di poterlo revisionare, per riqualificare, per semplificare per lo sviluppo sostenibile. PUC, PUO, PIP, PEEP, PTR, PTCP, SUG, SUI, SOI…..  Tutta evidente semplificazione, ma non leggete il bugiardino. Guai. Ci sono effetti collaterali da non credere.

IL piano regolatore, meglio noto come PRG, è nato nel 1942, è diventato grande quasi ignorato da chi lo circondava e dagli stessi genitori. (nota 1), tanto  che, negli anni sessanta, dopo i disastri edilizi messi in atto nelle nostre città e dopo aver persino coniato il nuovo terribile “Rapallizzazione” (il termine serve per rendere bene l’idea del fenomeno distorto e di ciò che significava la speculazione edilizia), si risvegliarono  le crociate pro PRG ma il risultano è stato nullo. Le annate migliori del PRG sono state poche e si identificano in quelle che vanno dai primi anni settanta ai primi anni ottanta. Poi di nuovo buio pesto.

Facciamo un po’ i conti: se oggi si decide di revisionare un piano regolatore cosa succede?

Si fanno un paio di riunioni di maggioranza che vince 6-0 6-0 6-0 e poi si affida la scelta ad un gruppo di super esperti strapagati che iniziano a lavorare, studiare, esaminare, tipizzare, classificare, indagare sulla natalità, mortalità, sviluppo, presenze, assenza, grafici, abachi, istogrammi, torte, tabelle, livello puntuale, manufatti emergenti. Assetti insediativi, geomorfologici, vegetazionali… E poi, per un po’, non li vedi più.

Intanto del PRG, sia chiaro, non interessa nulla a nessuno perché, chi di dovere, sforna vagonate di norme che consentono interventi pesanti e derogatori, sanatorie, sforamenti ad hoc, l’entro terra, il fuori terra, la superficie lorda, quella utile accessoria, il volume, l’altezza minima, media, diesis 7 diminuita, riferimento a terra, punto fisso, media ponderale, minor consumo di territorio ecc. Nel 2009 la regione Liguria, si fa carico di una problema terribile. La crisi economica. E Emana la legge regionale panacea di tutti i maili. Il piano casa. La finalità della norma nata per durare da Natale a santo Stefano, e poi divenuta perenne, erano e dovrebbero essere le seguenti: “per individuare misure di contrasto della crisi economica mediante il riavvio dell’attività edilizia, la presente legge disciplina interventi atti a promuovere l’adeguamento funzionale, architettonico e ambientale degli edifici attraverso l’ampliamento dei volumi esistenti, nonché la riqualificazione urbanistica, paesistica e/o ambientale attraverso il rinnovo del patrimonio edilizio esistente in condizioni di rischio idraulico o idrogeologico o di incompatibilità urbanistica anche mediante l’applicazione di nuove tecnologie per la sicurezza antisismica, l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale degli edifici.”.

Ben prima, nel 2001, la stessa Regione Liguria, ed altre regioni italiane, si accorgono che c’è eccessivo consumo di territorio e che è quindi necessario limitarlo. Ma come; con il PRG che pone obblighi e divieti ? No, certo che no!. Ci vogliono più di dieci anni affinché sia approvata la revisione. Quindi  le Regioni e, in particolare la Regione Liguria, promuove, la presente legge dei “sottotetti”, “il recupero a fini abitativi dei sottotetti, con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici.” Poi in quella legge ci si insinua e nasconde di tutto. Porticati, locali caldaia, seminterrati abbandonati, logge ecc.

Quindi per non consumare territorio, porte aperte alle deroghe delle deroghe con i sottotetti, La “gente” viene mandata ad abitare nei/sui   tetti, come i gatti. Sui tetti dove c’era poco prima un sottotetto esistente, magari piccolo, bassino storto, piano, inclinato appena.

Un genio si azzarda e ne butta una lì: ma non si potrebbe applicare anche a quei sottotetti solo disegnati su una planimetria? E inizia a ridere per poi capire che gli altri, a quel tavolo presenti, lo hanno preso sul serio e, con nemmeno tanto stupore, nascono veramente i sottotetti solo disegnati. Le cosmicomiche di Calvino, in confronto, sono uno scherzo.

Quindi poteva esistere anche se solo disegnato.

Se avevi un sottotetto disegnato su un pezzo di carta e se aveva un timbrino dia approvazione (il disegno) quell’inesistente sottotetto può essere graficamente demolito per recuperalo in deroga e quindi alzato un pochino, tanto poter stare in piedi senza incorsi il soffitto inclinato delle falde. Le finestre o aperture, sono  adatte e accettate solo per consentire di vedere all’esterno, a chi è almeno alto come Re (Vittorio Emanuele), visto che, chi godeva di tale previlegio, poteva fare anche il militare …!

Poi, a volte si aggiungono dei pozzi che poi chiamano terrazzi e che hanno il parapetto a 1.80 m da terra e che per poter avere un minimo affaccio, o sei un giocatore di palla canestro, o devi rialzare il pavimento esterno del terrazzo. Peccato che poco dopo ti accorgi che devi salire e scendere tre o quattro gradini per andare in soggiorno dove trovi, man mano che ti avvicini alla parte più bassa del soffitto inclinato,  gli arredi. Ma non quelli dei mobilifici; trovi quelli fissi per i fessi. Tutto ciò per non consumare quel territorio  che stanno studiando i soloni. E il tempo passa “ e l’uom non se n’avvede”.  Con entrambe le due scellerate previsioni derogatorie nascono veri e propri esercizi architettesi e piroette edilizie. Tetto con raccordi sotto al canale di gronda da brivido. Tetti con modanature che sono improvvisate e costruiti con  sequenze di modanature infilate in fabbricati progettati spesso in serie negli anni sessanta.

Ritornando al PRG ecco che i primi risultati arrivano, sotto forma di bozza, se va bene, dopo 3 o 4 anni.Senza titolo-2

E da lì inizia il delirio simile a quello da gradinata nel derby della Superba dove, prima del tifo, la fanno da padrone le scenografie. E siamo così giunti al primo passaggio critico.  Intervengono le “ernie”.

Cos’è la fase delle ernie? La fase delle ernie e quella fase durante la quale inizia la violenza territoriale condivisa delle città è una sodomia consenziente basata su interessi da brivido per il 90% e per altre motivazioni che pesano per il 10 %. Attenzione il residuale 10 %, non è interesse pubblico, togliamocelo dalla testa; è altro ancora. E la città e prona, è piegata di nuovo. Intanto si amplia il volume del 35 % in deroga, poi del 50 %, poi, si ferma il PRU in atteso del PUO che si annulla per il piano casa che unisce al recupero del sottotetto anche se solo disegnato su un post-it.

Il perché si definisce fase delle ernie è, se vogliamo, semplicissimo. Si narra infatti che tanti anni fa un lungimirante sindaco di una di queste cittadine, venne eletto dai cittadini e si trovò a discutere di una specie di PRG abbozzato da altri prima. Guardando attentamente e scansionandolo visivamente, questo sindaco ribelle nota che sulle carte dei mega urbanisturesi, strapagati, sono presenti delle colorate e diverticolitiche protuberanze sinuose quanto inconsuete e casuali; lui osserva bene e poi stizzito chiede al mondo di scienza che lo circonda in quel momento spiegazioni. Alza la voce e ripropone il quesito. E’ molto nervoso e irritato dal fatto che nessuno azzarda una sensata risposta e lui, da navigato osservatore e conoscitore della cosa pubblica, capisce tutto e chiude i fascicoli in meno di un secondo netto: chiude la discussione, chiude le planimetrie, chiude la stanza, chiude il becco e incassa il colpo. Sa benissimo che ora per togliere solo una di quelle strane sinuosità deve lavorare con un micro cosmo di microcefali da Cosmicomiche Calviniane.  E chissà cosa ne verrà fuori.

   Facciamo un esempio pratico di ERNIE urbanistiche.

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Figura numero 1 – PRG proposto nella prima fase                 

 

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Figura numero 2 – PRG durante la fase “Ernie”

 

Le due figure sopra riportate non sono altro che  estratti cartografici di una tavola di un PRG di una sconosciuta città italiana estratte dalla rete in maniera casuale.

Osserviamo nell’estratto di destra il frutto dei primi 3 o 4 anni di studi effettuati dagli esperti pianificatori. Si nota una palese e certo non tanto casuale, ricerca di perimetrare delle zone (vedi linea rossa che racchiude il verde pastello – molto seghettata). Questa è quella operazione che gli esperti del settore definiscono < zonizzazione >. Ma di che si tratta; la zonizzazione (o azzonamento o, più raro in urbanistura, zonazione), deriva dall’inglese zoning (derivato dal greco zone, cintura, fascia), e significa letteralmente suddivisione in zone. La zonizzazione è lo strumento tecnico, impiegato dai pianificatori e urbanisti, per disciplinare gli usi del territorio.

Vengono perimetrati ambiti e distretti, si riqualifica, si trasforma, si conserva, si individuano i servizi e le zone per lo sport, istruzione, parcheggi, scuole, asili ecc. e si ttonego, o dovrebbero ottenersi, le zone omogenee (altro termine  per gli addetti ai lavori).

Di questo primo studio, che ha dato modo ai pianificatori di produrre la tavola riportata sopra (figura n. 1), dei brogliacci, delle linee guida inziali ecc. degli studi, schizzi e scarabocchi di studio, non rimane traccia; vengono state subito eliminati. Eliminare le prove è meglio, ovvio.

Nessuna logica e nessun  minimo comune denominatore nessuno riuscirà a leggere infatti già nella tavola di destra. Macchie di colore contornate da linee spezzate. Infatti la linea spezzata, di colore rosso, a tratti ha segmenti lunghi, poi si accorciano, girano, rientrano e si contorcono a caso. Tagliano case, orti, fiumi, valli. Tutto  a misura di illogicità manifesta.

Ma questo è da tutti considerato il frutto della prima approfondita fase di pianificazione.

E’ il frutto di un compromesso poco nobile, di un minestrone di buoni propositi poi vanificati dal tira e molla dell’ambiguità. A voglia di ripetere al volgo che tutto ciò segue regole previse: bisogna prendere il vecchio PRG, i suoi vincoli, il PTCP, metterlo sotto, guardare la citta in scala di paesaggio (tipo le visuali che    Samantha Cristoforetti mandava dallo spazio). Poi con la matita si iniziano a tracciare linee, macchie, ingombri da rettificare e correggere con la gromma tanto da arrivare a  < zonizzare >. Balle.

Nell’estratto cartografico di figura n. 2 tutto ciò, già poco attenibile e credibile, è palesemente falcidiato dalle Ernie e dai diverticoli urbanistici. Ogni ernia è una famiglia, un gruppo, un “n” voti da tenere presente in campagna elettorale, una promessa, un accordo, una consenziente non  tacita transazione di volontà, dove la città non è protagonista mai. La città, a differenza del banco, qui perde sempre.

Passiamo alla Terza fase: gli incontri, noti anche come fase da avviare per riacquisire la verginità.  In questa fase inizia ad essere utilizzato il linguaggio tipico di chi fa Urbanistura.

Facciamo di nuovo un esempio.

Se provi a chiedere ai  < pianificatori >  un chiarimento e lo fai da cittadino timido, educato e ossequioso, seduto in mezzo ad una platea dove si fa la lotta a chi parla di meno e vince chi sta zitto, cosa ti senti rispondere ?

Se ti dice bene, questo:

Grazie per la domanda che lei ha fatto perché ha centrato davvero il problema di fondo e ciò significa che il nostro lavoro ha centrato l’obiettivo. Grazi di nuovo. La sua richiesta ci da modo di spiegare a lei e a tutti i presenti, il perché la sua domanda e osservazione è importante per tutti. Infatti il modello di sviluppo approfondito presuppone il riorentamento delle linee di tendenza in atto al di sopra di interessi e pressioni di parte ipotizzando e perseguendo con le dovute ed imprescindibili sottolineature l’adozione di una metodologia differenziata. E si è dovuto tenere conto del quadro normativo che auspica l’accorpamento delle funzioni ed il decentramento decisionale in una visione organica e ricondotta a unità ipotizzando e perseguendo quale sua premessa indispensabile e condizionante la trasparenza di ogni atto decisionale. E tutto ciò seguendo anche il criterio metodologico che si propone un organico collegamento interdisciplinare ed una prassi di lavoro di gruppo in maniera articolata e non totalizzante recuperando ovvero rivalutando nel rispetto della normativa esistente il coinvolgimento attivo di operatori ed utenti. Per chiudere quindi si ribadisce che il metodo partecipativo riconduce a sintesi il superamento di ogni ostacolo o resistenza passiva in una visione organica e ricondotta a unità evidenziando ed esplicitando in un ottica preventiva e non più curativa delle distorsioni operate nel tempo.

Porca miseria. E vero ! E non ci avevi pensato.  Ti alzi, ringrazi ed ossequi e annuisci con il capo fiero di non aver capito niente perché niente dovevi capire. End.

Si potrebbe andare avanti così per ore. Se trovate in rete il prontuario delle frasi inutili (ce ne sono moltissimi) e provate ad assemblarle, questo otterrete. Provare per credere.

Dopo la fase delle Ernie, passano altri 4- 5 anni prima che si riesca a chiudere la mostruosa transazione. Poi si finisce per proporre il tutto, ben confezionato, in una anonima sala di un vacuo consiglio comunale dove tra un s.m.s., uno sbadiglio, una sigaretta desiderata,  una battuta poco felice su un video semi-hard inviato da un amico via rete, si è chiamati a votare ed alzare la mano e la revisione del PRG è adottata, come un figlio e  La seduta e tolta.

Segue la fase <pacchetti>.  Si fanno dei i pacchettoni pieni di cartografia (25, 65, 34, 250,12 tavole ecc.), si noleggia un furgone per portare i metri cubi carta da chi, in maniera sovraordinata (nei palazzi che contano), deciderà, ma con calma.

Ed ecco che passano altri 6, 7 , 9 12 anni. Non si sa. Poi si decide, sempre in maniera sovraordinata ma in modo analogo a quello del vacuo consiglio comunale citato prima, che il PRG sarà approvato, forse con quale prescrizione più di forma che di sostanza. Si pubblica e finalmente non cambia niente di niente.

Ricapitoliamo: decidi di fare la revisione del PRG che devi ogni dieci anni ma per farla ne impiaghi 10, 11, 13 ecc. ma, nel frattempo, il mondo non è cambiato? Di più; il mondo è un’altra cosa come la tua città. Sei fuori sintonia. Sei un derivato urbanistico, le tue previsioni possono essere tossine.

Le nostre città non sono conti economici che devono quadrare. Le città sono sculture a tre dimensioni dove tu vivi con altri e lo fai dentro le loro composizioni, dentro gli scatoloni relazionali, siano essi strade, palazzi, uffici, parchi. Le città sono vive se vissute. Per  questo la loro progettazione, il loro disegno o ridisegno di abitazioni, spazi e servizi è un grande esercizio partecipato di cittadinanza, in cui entrano in relazione persone, competenze e professioni. Una revisione radicale, in cui alle idee dei cittadini si attribuisce legittimazione, importanza e interesse. Richiede tempo e ascolto, doti che in una comunità intelligente non possono mancare per guardare ad uno sviluppo urbano sostenibile. Le idee e i pensieri hanno il potere di mettere in relazione le persone, di appassionarle a progetti e invogliarle alla partecipazione. Le idee buone generano buone pratiche che nascono sempre dal basso e non hanno bisogno di mega strutture che studiano sotto banco.

Revisionare la tua città, per viverci meglio, è solo frutto di tutto uno snodo di relazioni: relazioni interpersonali, relazioni tra i diversi ambiti professionali e relazioni tra le competenze coinvolte. Tutti devono accedere alla progettazione partecipata della città; è un grande esercizio di cittadinanza. Coinvolgendo attivamente tutti i portatori di interesse (impiegati, clienti, cittadini, utenti finali ecc.) nel processo di progettazione urbana, non si altro che creare relazioni, connessioni potremmo dire, al fine garantire che il prodotto risponda ai bisogni dell’utente che ne usufruisce.

L’architettura è in profonda crisi; la rivoluzione che può avvenire nei prossimi anni sarà prodotta dalla partecipazione delle persone e dalla capacità di ascolto dei progettisti. Ascolto soprattutto delle fasce più deboli, che non sono mai state ascoltate: nella nostra esperienza le giovani coppie, i bambini o gli anziani. Fare ciò che chiedevano è stata la vera rivoluzione” così ci risponde un noto architetto alla domanda se la partecipazione potesse davvero produrre un forte cambiamento in architettura.

La rivoluzione oggi è fare ciò che le persone chiedono. Tutto lì.

Castagnabuona, 26 febbraio 2016

Lino Sasso

 

 

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