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2012
Il “ventennio” e la guerra… Ricordi di una nonna.
Ricordi di una nonna.
Castagnabuona, 1921. Nasce la nonna di un ragazzo che, per fortuna, ha avuto modo di raccontare al nipote, quando frequentava la scuola elementare, i momenti di vita vissuta durante il ventennio e sino al dopoguerra. Avendo ritrovato il testo ho deciso di pubblicarlo.
Antefatti.
Nonna del ragazzo: nata a Varazze nel 1921
Fratello della nonna del ragazzo: nato Varazze nel 1918
Nonno del ragazzo: nato a Varazze il 6.2.1915
Luogo di nascita e località: Castagnabuona frazione di Varazze.
Il ragazzo racconta…
“La famiglia di mia nonna era numerosa (9 fratelli), tutti abili lavoratori e contadini, muratori, maestri d’ascia ecc.
Tutti assieme, gestiscono un’osteria posta lungo l’unica strada che univa Varazze alla vicina frazione di Castagnabuona. La loro situazione economica, riferita a prima della guerra e del periodo di dittatura, era come tante altre; tutti portavano la paga mensile e i genitori gestivano, insieme ai ragazzi, l’osteria.
La famiglia del nonno era composta dai genitori e da tre figli; uno da prime nozze e due, nati dal matrimonio della bisnonna con il cognato. Famiglia contadina con condizioni economiche forse più disagiate dell’altra.
All’età di ottantasei anni mia nonna accetta di riflettere con me sul suo passato e la conversazione diventa presto un fiume in piena.
Inizia raccontandomi che, insieme ad altri giovani dell’epoca, ha partecipò a una sorta di visita organizzata a Genova-Pra per assistere al discorso del Duce che, in transito nella zona costiera, avrebbe tenuto, nel quartiere posto a ponente del comune di Genova, per i ragazzi di sedici anni chiamati “giovani fascisti”. Per l’occasione erano stati organizzati cori e inni per la visita del duce.
I giovani nel “ventennio”, facevano il “premilitare”; si trattava di una adunata nel campo sportivo dove gli insegnavano a marciare rigorosamente in divisa.
Dall’osteria, gestita dalla sua famiglia quale unico punto di ristoro in quella zona, hanno ascoltato, con una rara e preziosa radio a valvole, il discorso di Mussolini che annunciava l’entrata dell’Italia in guerra. Si diffuse subito la paura tra gli uomini, specie tra coloro che avevano già prestato e concluso il servizio di leva, in quanto temevano di essere richiamati alle armi proprio in conseguenza dell’entrata in guerra. Mio nonno (n.a. Varazze nel 1915), in quel periodo doveva finire il servizio di leva e venne quindi trattenuto direttamente e mandato sul fronte. Venne mandato sul fronte francese e poi in Grecia ed Albania (ricordava sempre Cefalonia, il Pireo, Corinto, ecc.). Il suo incarico era quello di radiotelegrafista e apparteneva al Genio Trasmissione per truppe Alpine con il grado di sergente maggiore; addestramento e grado conseguito sulle Alpi del Piemonte, Val Variata e Cima Marta. La stessa destinazione venne assegnata al fratello di mia nonna, zio Ernesto (n.a. Varazze nel 1918) che apparteneva alla fanteria e venne quindi mandato in prima linea. Ricordava spesso i militari del suo reparto morti sul campo e un suo caro amico di nome Antonio. Provava a scrivere per dare notizie ai familiari ma la posta non arrivava perchè sottoposta a controllo e censura. Ernesto, “Nesto” per la nonna, venne colpito e ferito gravemente durante una ritirata. Cadde a terra colpito da una scheggia di una bomba che gli ha trafitto la schiena e venne lasciato li abbandonato da tutti, anche da quelli del suo reparto ai quali “Nesto” offriva un po’ di riso e sigarette in cambio di un po’ di aiuto per salvare la pelle ma tutti badavano a fuggire ed a salvare la propria pelle. “Nesto” riuscì a sopravvive, fingendosi anche morto, e resistette sino alla fase di recupero dei feriti. Venne poi mandato a combattere anche in Corsica. Ernesto venne dato quindi per disperso e solo successivamente la famiglia scoprì che si trovava a Roma e non poteva scrivere per dare notizie.
All’epoca spesso la gente ricorreva alla “borsa nera” per accaparrarsi il cibo dato che il regime fascista aveva imposto restrizioni tali che, anche il minimo indispensabile per sopravvivere, veniva consegnato solo con l’esibizione di una “tessera” e quindi rigorosamente regolato tanto da costringere la gente a ricorrere ad una specie di contrabbando, meglio noto come “borsa nera” e ciò per approvvigionarsi anche il solo “mangiare”. Mangiare che per quelli, come la nonna, che erano in campagna, era rappresentato solo da ciò che ricavavano dall’orto: patate, cavoli, patate…patate.. patate, cavoli ecc.
Mia nonna, ultima di nove fratelli, resta sola nel 1944 quanto morì la sua povera mamma. Il giorno successivo al decesso, venne bombardata la città di Varazze. Caddero bombe in pieno centro storico e parte dei fabbricati posti nella zona ove è oggi ubicato il Comune e l’ex Croce Rossa, venne distrutta.
Parliamo ora di Pipetto e la nonna lo rammenta con timore. Pipetto era una sorta di ricorrente momento di paura. Era così denominato un aereo che soleva volare di notte e cosi soprannominato perché diverso dagli altri aerei; ogni volta che suonava l’allarme e si preannunciava l’ennesimo arrivo di “Pippetto”, correvano tutti presso il più vicino rifugio spesso ricavato mediante rudimentali grotte scavate nella roccia dell’entroterra; ancora oggi ne esistono tratti e residuati non ancora eliminati.
Tutti gli “sfollati”, a causa dei frequenti bombardamenti, lasciano la cittadina di Varazze e si rifugiano nell’entroterra. Spesso scalzi e nudi portando solo qualche effetto personale o ricordo familiare.
Le truppe di occupazione tedesche occupavano e minavano tutto il territorio. Nei boschi sistemavano paletti, con filo spinato e mine antiuomo.
“Occupavano le nostre case”, racconta la nonna, “per viverci” e pattugliavano continuamente il territorio.
Finita la guerra, al momento della ritirata, ecco che escono allo scoperto i partigiani che spesso catturavano militari del battaglione San Marco che, negli anni precedenti, erano diventati personaggi ben noti per le loro azioni di persecuzione, crudeltà e violenza.
I San Marco infatti non avevano perso l’occasione di picchiare i cittadini, passando nelle case a controllare i possedimenti delle singole famiglie. Spesso entravano violentemente nelle case private rubando e portando via i prodotti agricoli (olio, provviste, ecc.). Anche nella casa di mia nonna si è verificato un episodio simile e, lei e i suoi familiari, vennero privati delle poche provviste necessarie a sfamare la famiglie come l’olio e le olive che mia nonna vendeva di nascosto.
Ormai disperata mia nonna decise quindi di vendere una mucca (unica peraltro) per non correre il rischio di farsela rubare…. Ma ecco che oltre ai generi alimentari gli portano via anche i soldi ricavati dalla vendita della mucca; a quel punto, ormai senza soldi, decise di vendere anche i vecchi vestiti.
Quando andarono via i tedeschi vennero quindi fuori i partigiani; scendono a Varazze e festeggiano rastrellando i fascisti.
Lo stimato “Sciu Italia”, padre della Maestra Flavia Italia, (probabilmente di origine ebraica, mutilato durante la guerra 1915-1918 – dove perse una mano), aveva regalato alla nostra famiglia, la tomba della sorella di mia nonna, di nome Concessa. Il signor Italia (Sciu Italia) si trovava spesso in casa di mia nonna.
Finita la guerra, dopo quel terribile periodo di feroce dittatura e di dominio delle truppe tedesche, iniziano le rappresaglie da parte di coloro che si affiancarono e si mischiarono purtroppo con i partigiani e da parte di coloro che avevano subito per anni ogni ordine di umiliazione e violenza.
“Dopo l’euforia della fine della guerra abbiamo avuto un periodo di ulteriori violenze”. Ricorda la nonna che un gruppo di queste persone, animate dall’odio e dalla voglia del riscatto violento, catturò uno stimato signore di cui non si seppe più nulla. Il fratello della maestra era probabilmente riuscito a scappare mentre il padre, signor Italia, era stato ucciso.
Il signor Italia venne infatti catturato a Castagnabuona e venne portato a bordo di un camion, insieme ad altre persone, presso un fabbricato, denominato pensione Astoria e, lungo il tragitto, venne picchiato e umiliato. Lì vennero uccisi circa trenta uomini, ormai sfiniti, picchiati e già moribondi. A Castagnabuona hanno quindi catturato lui e dopo alcuni giorni, anche la moglie. Vennero picchiati con fruste e bastonate. I cadaveri dei morti ammazzati per vedetta vennero portati nel cimitero ed esposti alla visione della cittadinanza ancora sporchi di sangue.
In città, le ragazze, che avevano conosciuto militari tedeschi o li avevano frequentati, venivano raccolte, rasate e portate su camion per le vie del centro. Non si trattava dei terribili “ss” (squadre speciali), ma soltanto di soldati e ufficiali dell’esercito tedesco. Le case di Varazze e dell’entroterra, erano state assediate dai tedeschi e, dopo la loro fuga, furono saccheggiate dai soldati del battaglione S. Marco che portarono via ogni cosa anche beni di prima necessità come già spiegato prima. Una conoscente della nonna, di nome Franca G., aveva avuto amicizie con i soldati tedeschi e riuscì a scappare dai S.Marco, bruciando anche le foto degli ufficiali tedeschi.
Ritornando al periodo della guerra e della dittatura fascista ricorda la nonna che, nella zona di Castagnabuona, zona strategica con bunker e postazioni da cannoni con numerose trinceee, si era stanziato, dove oggi c’è il Santuario della Madonna della Croce, risalente al 1200 (originaria cappelletta), il battaglione S. Marco. Una mattina, rammenta la nonna, che durante la messa, sul sagrato della chiesa di San Rocco si sistemarono soldati tedeschi ed approntarono un mitraglia posizionata a lato della piazza. La voce si sparse e anche all’interno della chiesa, vennero a conoscenza di quanto poteva accadere alla fine della funzione religiosa. Alcuni giovani e uomini del posto si arrampicano sul campanile altri vengono invece fatti uscire. Vennero formati due gruppi, uno di donne ed uno di soli uomini, che vennero costretti a posionarsi con le spalle al muro sotto il tiro della mitragliatrice. Con fucili puntati vengono chiesti i documenti ad ogni singolo uomo catturato.
Mio nonno, che si trovava nel paese in convalescenza dopo aver contratto la malaria sul fronte greco, con il fucile puntato, viene sommariamente interrogato e poi portato dove è ubicata la Colonia Bergamasca (fabbricati posti tra Varazze e Celle) e lì rimane prigioniero per alcuni giorni insieme a molta altre persone. Dopo il rastrellamento e dopo essere stato picchiato e insultato, ritenuto forse un imboscato o chissà cos’altro, venne rilasciato grazie all’interessamento del medico condotto; un certo dott. Chieffi. Gli altri sono probabilmente finiti nei campi di concentramento.
Il nonno, a guerra finita – alcuni anni dopo, mentre raggiungeva Genova per recarsi al lavoro insieme ad un suo amico, ritrova il capo del reparto dei S.Marco che lo aveva catturato. La notizie si diffonde anche tra altri che lo fermarono e lo portarono con la forza alla caserma dei carabinieri.
I partigiani della zona erano nascosti sui monti vicini e riforniti dalla gente del posto sia uomini che donne. Ne facevano parte anche persone di rilievo come medici ecc.
La nonna rammenta che della persecuzione razziale e dell’olocausto, durante il ventennio e durante il periodo bellico, nessuno ne parlava e nessuno era probabilmente a conoscenza delle dimensioni terribili della persecuzione in atto. Finita la guerra, conosce mio nonno, si fidanza e, nel 1950, si sposa e avrà due figli.
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