11
2018
Ooooooooo …Baccicin vattene a ca !
E chi, nella nostra “società”, dopo una bella e goduta festa tra amici e
qualche gotto di troppo non ha cantato questa canzone ?
Pare che non si tratti della maschera genovese ostentata a carnevale: Baccicin
Ai primi del ‘900, nel centro storico di Genova c’era un baretto molto frequentato in zona. Tra gli assudui ospiti c’era anche un tipo noto con il nome di “Baccicin de l’aegua”. Ovviamente, come spesso accade in tutta la Liguria, si trattava di un soprannome goliardico perchè il tipo non aveva un buon rapporto con l’acqua e preferiva sicuramente il buon vinello.
Pare che spesso dicesse agli amici: “Se io fossi il conte Raggio, metterei i recipienti del vino sul tetto del palazzo, al posto delle cisterne dell’acqua. Pensate che bello, aprire il rubinetto del lavandino e veder venir giù del Barbera”.
Baccicin, spesso ciucco, si appostava all’angolo dei vicoli della strada e iniziava a fare strani comizi urlando sino a quando non gli veniva intimato dai vigili di portare via i tacchi. “Se fuise u cunte Raggio non me mandiesci via..” rispondeva loro mentre se ne andava barcollando e canticchiando:
“Ooooooooooo Baccicin vattene a ca, to moè a t’aspeta… Eeeeeeee a t’ha leasciou u lumme in ta scaa….e a ciave a porta!”.
Per diventare ricco, cosa a cui aspirava per emulare il conte Raggio, giocava al lotto tutto quello che aveva o che riusciva ad arraffare qua e là. Era analfabeta e, non sapendo leggere, chiedeva ai passanti di comunicargli la sequenza dei tre numeri estratti. Gli amici gli giocarono però un brutto scherzo. Riuscirono ad impadronirsi del cappello di Baccicin dove aveva nascosto la ricevuta dei numeri giocati ed inscenarono un inganno molto ben orchestrato alle sue spalle. Uno sconosciuto con in bella vista il giornale “Il Balilla” interrogato dal Baccicin lesse, guarda caso, i numeri giocati dal poveretto che, superato il momento di incredulità, strappò dalle mani del tizio il giornale e corse euforico giù per il caruggio, irrompendo nel baretto dove tutti, a conoscenza dello scherzo, lo attendevano per sbeffeggiarlo. Il bidello, asieme ai burloni lesse il tutto e confermò l’estrazione sulla ruota di Genova.
Baccicin era al settimo cielo e si precipitò al botteghino del lotto per riscuotere la sua agognata vincita. Lo scherzo era sfuggito di mano e chi l’aveva ordito già si era pentito quando vide il titolare della ricevitoria uscire mentre si tamponava il naso sanguinante. Ai presenti implorò, mentre si udivano i rumori della vetrina infranta e i tonfi di sedie e tavoli sfasciati, di fermarlo perché “u l’è mattu, acciapelu..”. Un vigile accorso per sedare la questione subì un calcione negli attributi “nobili” . Baccicin era fuori dalla grazia di Dio e venne arrestato e finì dal Prefetto.
La vicenda finì sulla bocca di tutti . Oltre al danno anche la beffa si direbbe oggi.
Passarono gli anni e fini anche la prima guerra mondiale e Baccicin, con la schiena curva dagli stebti e patimenti e afflosciato dalle delusioni era ormai l’amara caricatura di se stesso.
Continuò, fino all’ultimo dei suoi giorni a chiedere l’elemosina, canticchiato una nenia incomprensibile, che nenie recitava: “Ooooooooooo Baccicin vattene a ca, to moè a t’aspeta… Eeeeeeee a t’ha leasciou u lumme in ta scaa….e a ciave a porta!”.
E zu’ gotti!
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